I RACCONTI DI MALIA
Anno 2860 dalla Fondazione di Fortia-che-fu, 11 ottobre.
Foresta di Lorien, Isola delle Brine.
Turlogh, Dux Bellorum, osservò il campo nemico dall’alto. I vessilli degli Imperiali garrivano al vento teso dell’Isola delle Brine: la minacciosa aquila dei Dosthan e – sotto di essa – i mille blasoni colorati dei Gallessani a loro sottomessi. Lo stesso vento umido e forte che spingeva al galoppo i nuvoloni neri sulle montagne. Rade goccioline di pioggia scendevano dai cieli per rigargli il viso, simili a lacrime, per cadere poi sull’armatura dove, lo sapeva, si sarebbero trasformate in sottili strisce di ruggine dure da mandar via. Strinse gli occhi. Le lacrime erano quanto di più lontano si potesse immaginare dal suo stato d’animo di oggi. Oggi era il gran giorno, il giorno della battaglia, ed era furia repressa, incandescente, che correva per le sue vene. Quel giorno avrebbe scacciato gli invasori dalla sua isola, o sarebbe morto. Si girò verso Slane, il capo degli esploratori, fissandolo con aria interrogativa. Slane, un uomo alto e magro, dal viso che sembrava sempre triste ma gli occhi grigi come l’acciaio, non disse niente. Però annuì. Sembrava sicuro del fatto suo. Turlogh, che pure credeva con tutto se stesso al piano che avevano ordito, invidiava la sua calma e la sua sicurezza. Intorno a loro i guerrieri dell’Isola delle Brine. Erano venuti fin da ogni più remoto recesso delle foreste, da ogni lago del Nord, da ogni collina del verde Ovest, e attendevano il momento. I temibili arcieri con le loro lunghe armi di legno di tasso, armigeri con spade tozze e brocchieri di legno, alabardieri, molti cavalieri in cotta di maglia ma ben pochi nobili dotati di armature di piastre alla maniera continentale. Le tende dell’armata erano sparse per il bosco, parevano enormi funghi sorti dalla terra umida e nera. La terra di una patria che era stata invasa, minacciata da un potere straniero molto al di sopra delle sue forze. Ma erano venuti, erano lì, accompagnando l’uno o l’altro degli infiniti piccoli Rix che, per una volta, non si battevano tra loro ma tutti uniti contro i Dosthan.
Al contrario, il campo degli avversari era vasto e perfettamente quadrato, con le tende a padiglione colorate geometricamente disposte a scacchiera. Avevano scavato un fosso ed eretto un terrapieno, e disboscato attorno in ogni direzione un tratto sufficiente per il tiro dei balestrieri, alla maniera degli antichi conquistatori Mitoien. Ma quelli non erano Mitoien, niente affatto. Non avrebbero mescolato il loro sangue a quello dei nobili locali e stretto alleanze familiari con i Rix come avevano fatto secoli fa quegli antichi conquistatori. I Dosthan non avrebbero portato gli uomini dell’Isola delle Brine a diventare Senatori nelle aule di Fortia-che-fu. Non si poteva scendere a patti, non c’era alternativa alla guerra che non fosse l’asservimento.
Turlogh guardò di nuovo Slane. L’esploratore non faceva una piega. Ma le gocce di pioggia che scendevano restavano rade.
“Fra poco si muoveranno.” mormorò Turlogh.
Slane annuì.