“El Capitán Alatriste”, è il primo romanzo di una lunga saga di Arturo Pérez Reverte, inizialmente affiancato dalla figlia Carlota per le ricerche storiche. Lo scrittore e giornalista spagnolo per lungo tempo è stato reporter di guerra, quindi è di certo uno che sa di cosa parla quando descrive situazioni di combattimento. Oltre a ciò è un grande uomo di cultura, che non ha mai avuto paura di dire in articoli e romanzi ciò che pensa anche quando è scomodo e controcorrente, che sia a proposito dei narcos messicani (su cui ha fatto una pericolosa inchiesta), di Napoleone, dei torturatori della dittatura militare argentina, della guerra civile spagnola, dei combattimenti clandestini fra cani o delle controverse vicende della politica iberica di questi giorni.
In questa saga, portata sul grande schermo con “Il destino di un guerriero” che condensa in un solo film parecchi romanzi, e in cui Viggo Mortensen (Aragorn) presta volto e fisico ad Alatriste, Perez Reverte rende omaggio ai grandi scrittori ottocenteschi di avventura classica, primo fra tutti Dumas e i suoi “Tre moschettieri”. Il periodo è all’incirca lo stesso in cui si muovono D’Artagnan e compagni, il XVII secolo, e Alatriste vive avventure di “cappa e spada” che nulla hanno da invidiare a quelle di Dumas, insieme al suo giovanissimo pupillo basco, figlio di un compagno d’armi caduto nelle Fiandre (il narratore in prima persona). Profondamente diverso dai suoi predecessori francesi è il carattere del protagonista: un silenzioso, riflessivo e puntiglioso veterano che non esita a vestire i panni di bravaccio e assassino pur di sbarcare il lunario e che non si piega davanti a nessuno, nemmeno al Re per cui, nonostante tutto, combatte con valore. Accanto a lui si muovono figure oscure dei bassifondi della Madrid seicentesca come anche Re, nobili e poeti, primo fra tutti il grande Quevedo che di Alatriste è amico intimo. Non c’è nulla in questo fosco eroe/antieroe del brio e dell’allegria rumorosa e spensierata dei moschettieri di Francia, al contrario egli è dolorosamente consapevole del declino della sua patria e di non poter fare nulla per porvi rimedio, se non opporvisi invano affrontando il pericolo e se necessario la morte con stoica rassegnazione e con quell’ostinazione (degna del toro che – ferito – continua ad assalire la rossa muleta), che è sempre stata il segno caratteristico delle armi spagnole. Non c’è nulla di meglio per far capire la differenza fra gli eroi dei due lati opposti dei Pirenei, Alatriste e D’Artagnan, che citare il nostro Baldassarre Castiglione che, un secolo prima, aveva ben conosciuto gli uomini d’arme di entrambe le nazioni: “quella gravità riposata peculiar dei Spagnoli mi par molto più conveniente a noi altri (italiani) che la pronta vivacità , la qual nella nazion franzese quasi in ogni movimento si conosce; il che in essi non disdice, anzi ha grazia, , perché loro è così naturale e propria , che non si vede in loro affettazione alcuna…”
Non posso certo tacere sul fatto che è stata una bella scommessa scrivere storie di questo tipo oggi, nel XXI secolo, quando Dumas come Salgari, Verne, Gautier hanno tutti scritto nell’Ottocento: ci vuole coraggio a riprendere un genere abbandonato da così tanto tempo, donandogli nuova vita e freschezza, e ci vuole genio e abilità per trasformare un coraggioso bravaccio dal cuore duro ma generoso, in un grande successo internazionale.
Personalmente ho letto l’intera saga – o almeno tutti i volumi usciti fino ad oggi in Spagna – in lingua originale; ne vale la pena non solo per godere del testo originale uscito dalla penna dell’autore ma anche per la veste grafica, che ricorda da vicino le edizioni dei classici a cui Alatriste vuole dare nuova vita, con illustrazioni interne in bianco e nero che hanno riportato alla mia mente quelle dei libri che leggevo a tempi delle elementari, fino a notte tarda, con la torcia elettrica e la testa sotto le coperte per non farmi “beccare” dai genitori ancora sveglio, quelle che mettevano sotto i miei occhi affascinati in carta e inchiostro le imprese del Corsaro Nero o di Sandokan e mi spingevano a sprofondare di nuovo in una lettura febbrile, invece che nel sonno ristoratore in cui tutti mi credevano immerso.
Le avventure di Alatriste però sono state tradotte anche in italiano, per cui non perdetevele!