I RACCONTI DI MALIA

“Saranno almeno trecento passi, forse di più. Una caduta in verticale bella lunga, non credi?”

Mario si trasse indietro dallo strapiombo e il Griso sogghignò.

“Lascialo stare, Griso! Lui fa la discesa per la prima volta, tu invece l’avrai già affrontata in trenta viaggi.” disse Piero.

“Trentadue.” puntualizzò il Griso.

“Vuoi che racconti come te la sei fatta nelle brache la prima volta?”

Il bravo lanciò uno sguardo di fuoco a Piero. Ma il mercante era il suo padrone. Così, nonostante il cattivo latte che doveva aver succhiato da sua madre, il bravo si morse la lingua e se ne stette zitto. Alberto, il vecchio capo mulattiere, rise di gusto.

“Anch’io mi ricordo!”

“Fottiti, Alberto! A te posso dirlo.”

Il bravaccio era risentito perché quei due gli avevano rovinato il gioco.

Mario, dal canto suo, era pronto a difendersi da solo e non fu grato più di tanto dell’aiuto che gli era venuto dal suo capo.

La carovana di muli di Piero Briganti stava affacciata proprio sul bordo settentrionale dell’Altopiano Centrale. Quelle che vedevano laggiù in basso, invece, erano le terre del Ducato di Campofiorito. Pareva quasi di vederle disegnate su una mappa, da lì, mentre il vento soffiava tra i capelli di quelli che si avvicinavano al precipizio.

“Uh, senti come ulula!” commentò a voce alta uno dei mulattieri più giovani.

“Fa sempre così, qui, sempre. Non smette mai. E’ l’aria che viene da sotto e quando urta il fianco dell’Altopiano viene su gridando e prende velocità. Senti come tira: pare quasi che se uno si tirasse di sotto potrebbe andare in su invece che cadere, da quanto è forte. Questa parte del tragitto ti fa cacare sotto ma è uno spettacolo.” Alberto sorrideva, sornione.

Mario deglutì, ma poi cercò di mostrarsi all’altezza.

“E noi da dove passiamo, per scendere? O dobbiamo davvero buttarci e il vento ci depositerà di sotto senza farci alcun danno?”

Alberto gli fece un occhiolino: “Sì, magari. A dire la verità c’è una vecchia leggenda…”

Piero, il mercante che pagava il soldo di tutti, lo zittì:

“E basta con tutte le tue leggende, vecchio. Non c’è tempo adesso, sennò facciamo notte a metà della scalinata e siamo fritti.”

Fu la volta del carrettiere di abbozzare.

“D’accordo, hai ragione Piero. Te la racconto un’altra volta, Mario. Magari stasera, quando saremo giù.”

Poi Piero si rivolse a Mario:

“Comunque da qui non si vede ma c’è un passaggio, anche se non è certo agevole. Vedrai. Dobbiamo proseguire mezzo miglio verso Est. Andiamo.”

“Vedrai.” gli ripeté il Griso all’orecchio mentre gli passava accanto.

Mario sospirò, fece spallucce e si incamminò a sua volta.

Si era unito a quella carovana che veniva da Sud quando era in viaggio sull’Altopiano verso Vastopasso. Aveva incontrato Piero e la sua carovana in un villaggio sperduto fra le foreste. Il mercante e i suoi uomini erano attesi con le loro mercanzie a Campofiorito. Dato che si diceva che stava per scoppiare un macello, forse addirittura una nuova grande guerra fra il Re una coalizione di Duchi, Piero gli aveva offerto di ingaggiarlo in prova per il viaggio, come scorta. Eventualmente avrebbe potuto confermare il suo impiego alla fine del viaggio, e comunque gli avrebbe pagato le giornate di lavoro. Mario, che era del tutto al verde e mangiava solo quel che riusciva a raccogliere e a cacciare di giorno in giorno, aveva accettato subito, anche se significava cambiare destinazione. Tanto, in fondo, per lui che aveva deciso di vagabondare in cerca di fortuna e di avventure, un posto valeva l’altro. Aveva intenzione di vederli tutti, ad ogni modo. Ma proprio tutti.

Piero era una brava persona, per essere un mercante, e anche con gli altri uomini si era trovato bene. L’unico che gli dava dei grattacapi era il Griso, un bravaccio del Nord-Est che serviva da capo della scorta. Non era un cattivo diavolo nemmeno lui, in fondo. Era un tipo alto e snello sulla quarantina a cui piaceva scherzare e i cui lunghi capelli – a quanto dicevano – erano stati grigi da sempre, fin da quando era molto giovane. Ma, dato che Mario era nuovo, il Griso si considerava in obbligo di sfotterlo e lo faceva spesso e volentieri. Inoltre non gli aveva mai perdonato il fatto che, quando lo aveva sfidato a una gara di tiro con l’arco, Mario lo avesse battuto. Se l’era legata al dito e non perdeva occasione di sfoggiare il suo grado e la sua esperienza. Non aveva più parlato della propria abilità con l’arco, però.

Dopo aver percorso la maggior parte del tratto che mancava all’imbocco di quello che Mario credeva fosse un sentiero lo videro… e non era ciò che si aspettava. Non c’era nessuna pista vertiginosa che si avventurasse a scendere fra le rocce serpeggiando fino alla pianura. No. L’unica via era un ponte di corde col pavimento di assi di legno, sospeso a mezz’aria. Il ponte conduceva a una specie di dente di roccia, che sorgeva isolato dall’Altopiano e sovrastava le terre di Campofiorito, quasi altrettanto alto che l’Altopiano stesso. Sulla cima di quello sperone c’era una torre di guardia, e da lì si dipanava una lunga scala di pietra. La scalinata interminabile vi si avvoltolava attorno, come un serpente attorno al braccio di una di quelle sacerdotesse di antichi culti tribali che ancora ogni tanto si vedevano in giro in certe ricorrenze.

“Sono mille scalini tondi tondi per scendere, ragazzo. Se le tue gambe li tengono.” insinuò il Griso.

Mario lo squadrò di rimando con aria di sufficienza.

“Le mie sì, e le tue?”

Il bravo si batté su una coscia:

“Queste qui possono fare ben altro. Gli scalini li devi fare se non cadi prima giù dal ponte, beninteso.”

Mario non rispose più, ma lo guardò con aria di sfida. Al tempo stesso, non aveva una gran voglia di fare quel percorso.

“Inquietante, eh?” sorrise Alberto “Però si può fare, dai. Non si può dire che qui non sia mai morto nessuno… ma non avviene di frequente.”

Il ponte di corde partiva dal portone sul lato opposto di una torre di guardia, quello verso l’abisso. Sul torrione sventolava lo stendardo del Duca di Poggiomerlato: un fauno nero armato di arco, in campo bianco. Erano i colori dell’antica Federazione Mitoien: Poggiomerlato era una terra dalle radici vetuste e misteriose, come lui stesso aveva avuto modo di verificare. Mario sperò che il blasone non ricordasse al Griso la sconfitta nella gara che lui stesso aveva voluto. Sapeva bene che gli bruciava ancora. Dall’altra parte, sopra la torre che era stata costruita sullo sperone di roccia, campeggiava invece la rosa rossa dei Campofiorito. Il confine tra i due Feudi era sul ponte: sospeso in mezzo all’aria, nel vuoto.

“Spero almeno che non ci facciano fare dogana lì in mezzo, fermi sopra l’abisso.” sussurrò Mario al vecchio.

Il mulattiere rise.

“Certo che no! Prima di salassare il povero Piero hanno almeno la creanza di farci mettere i piedi sul terreno solido. Si fa tutto alla torre dalla parte di là… per quelli di là. E prima di avere accesso al ponte si paga la parte di qua. Come sempre, gli succhiano un po’ di sangue gli uni e gli altri.”

Infatti dovettero fermarsi alla torre. Prima di lasciarli passare le guardie di Poggiomerlato contarono i muli, ispezionarono il carico, richiesero a Piero il lasciapassare e, fatto un rapido calcolo, gli sottrassero svariate monete d’oro e d’argento. Il mercante alla fine tornò verso di loro imprecando.

“Possiamo andare, che peste li colga! Mi è costato più del previsto, più dell’ultima volta.”

“E perché mai?” chiese Alberto stupito.

“I dazi sono cresciuti per via del rischio di guerra. Se scoppia, Poggiomerlato e Campofiorito saranno probabilmente su fronti opposti, così ognuno dei due cerca di spremere più che può… e nel caso specifico cerca di spremere me! E quelli come me, dannazione! Scommetto che anche di là non si limiteranno a esigere il solito pagamento. In previsione di dover pagare presto truppe locali e mercenari stranieri fanno provvista di denari, ‘sti maiali!”

Si avviarono. Man mano che si avvicinavano al bordo dell’orrido il vento si intensificava e pareva che si facesse più freddo. Ma forse era solo l’effetto della fifa. Mario entrò sotto l’ombra protettiva della torre di pietra con un certo sollievo. Lì il vento non soffiava, e si veniva accolti da una confortevole penombra. Ma poi attraversarla fu il tempo di un “ave”, come dicevano gli antichi Mitoien, e subito Mario si trovò a riemergere alla luce e al vento dall’altra parte. Direttamente sopra il precipizio. Schiaffeggiato e accecato dagli elementi, Mario si concentrò sui propri piedi e andò avanti a spostarli uno dopo l’altro, mentre il ponte sotto di loro ondeggiava paurosamente.

“Non cadrà e non si rovescerà, non temere!” gli gridò il vecchio Alberto.

“E chi lo sa?” lo provocò invece il Griso.

“Lo so io, brutto ceffo. E’ costruito apposta perché non succeda!”

Mario strinse i denti e non disse niente, cercando di non guardare giù. Si concentrò sul mercante, che procedeva a larghi passi per primo, ancora inferocito per le dimensioni inattese dei tributi. Era imbufalito come una biscia calpestata. Pareva che borbottasse qualcosa fra sé e sé mentre andava deciso verso l’ulteriore incazzatura che lo attendeva all’altro capo.

Quando il Griso vide che Mario aveva già passato la metà del ponte gli gridò dietro: “Guarda giù, pivello, se hai le palle per farlo!”

Mario si fermò e si fece di lato, lasciando passare un mulo e un mulattiere. Poi, lentamente, si sporse e guardò di sotto. Non fece un moto, ma le sue mani artigliarono la corda che faceva da parapetto, e il cuore gli balzò in gola. C’erano dei boschetti, dei prati, dei campi e diverse fattorie, là sotto, più piccole di giocattoli per bambini.

“Un bel salto!” commentò. Doveva urlare per sovrastare la voce del vento.

Un sorriso si allargò sul viso del bravaccio.

“Molto bene. Chissà, forse non sei poi così male, ragazzo.”

Poi spinse coi piedi facendo oscillare le assi sotto di loro.

Mario si aggrappò alla corda e imprecò fra i denti.

Piero si girò e gridò forte:

“Chi è l’idiota? Piantatela subito o vi strappo la pelle a frustate!”

Il Griso smise immediatamente e riprese a camminare facendo finta di niente.

Passò accanto ad Alberto e sussurrò:

“Se dici qualcosa ti ammazzo.”

Il vecchio lo guardò malissimo.

“Sarò loquace come un pesce… a patto che tu non lo faccia mai più. Ma fallo ancora e farai bene a dormire con un occhio aperto, anzi tutti e due.”

Il bravaccio si mise a fischiettare.

Mario scosse la testa e riprese anche lui il cammino, cauto.

Fu veramente contento quando finalmente riuscì a posare un piede sul terreno solido.

Piero stava già assillando le guardie con i suoi lamenti, cercando di strappare uno sconto sul dazio che naturalmente era stato incrementato anche dal Duca di Campofiorito. Alla fine un altro sacchettino di monete dovette lasciare la borsa del mercante passando dalle sue mani ai forzieri del Duca.

Piero sorrise al capo delle guardie e tornò dai suoi uomini, bofonchiando:

“Maledette sanguisughe. Ci riposiamo un istante poi iniziamo a scendere. Prendete fiato e preparatevi. Devo vendere la merce al più presto e tentare di recuperare questi costi inattesi.”

Ecco. Prendere fiato. Fu quel che fece Mario, allontanandosi dagli altri e cercando di rallentare i battiti del cuore. Si appoggiò alla balaustra di pietra. Alberto lo raggiunse.

“Non far caso a quell’idiota del Griso. Goditi questo momento, invece: guarda che spettacolo. Non te l’ho detto prima perché tutti sono angustiati dal passaggio del ponte, ma ora il più è fatto e puoi avere occhi anche per la bellezza del mondo. Guarda.”

Il cielo era percorso da grandi e gonfie nuvole nere, fra cui si infilavano i raggi dorati del sole, chiazzando la pianura là sotto di luce chiara. A perdita d’occhio si estendeva il piano, intervallato a tratti da basse e dolci colline. Boschetti di querce, conifere e macchie di agrifogli si alternavano a ruscelli, roveti, vigne e campi coltivati. In lontananza si scorgevano, appena visibili, le alte torri della cittadella Ducale, e decine di piccoli borghi merlati, castelli e villaggi.

“E’ bellissimo. Hai ragione, Alberto, e io quasi non l’avevo notato.”

“Ma guarda! Ogni albero o cespuglio sfoggia un verde diverso! Da qui si vede tutto il paesaggio ma se ti avvicini ogni fiore, ogni filo d’erba ha la sua bellezza. E quanti ce ne saranno, lì in fondo? Abbiamo sempre tutto ciò intorno a noi, ma spesso è come se non ci fosse perché nessuno ci fa caso. E’ un peccato. Forse bisogna aver corso un rischio per rendersene conto.”

Mario annuì, lentamente. Poi strinse una spalla al vecchio.

“Grazie, davvero. Non scorderò queste tue parole, Alberto.”

L’uomo sorrise e si allontanò. Non passò un istante che Piero iniziò a sbraitare, subito imitato dal Griso, e la colonna si mosse. All’inizio la lunga spirale di gradini scavati nella pietra che scendeva dalla cima faceva quasi paura come il ponte. Spesso passavano sotto rocce a strapiombo, molte delle quali erano state scavate a colpi di piccone per ampliare il passaggio o fare in modo che i viandanti non sbattessero la testa. Ma poi, man mano che scendevano, la pianura si avvicinava e il precipizio diventava meno impressionante. Non era certo meno letale, non ancora: un salto di cento passi di altezza non ti ammazza meno di uno che di altezza ne misura trecento. Ti incute solo meno timore.

Fu proprio quando tutti iniziavano a rilassarsi che un mulo mise uno zoccolo in fallo, si trovò con una zampa nel vuoto e scartò per non cadere dal sentiero. La spalla dell’animale urtò il giovane mulattiere che lo guidava, scagliandolo via verso una caduta mortale. Il Griso scattò e lo prese al volo, afferrandolo per un braccio, ma rischiò di perdere l’equilibrio a sua volta. Mario si girò e lo prese con entrambe le braccia, puntando le gambe per resistere. Il bravo urlò, tirò forte col braccio fino a prendere il ragazzo anche con l’altra mano e lo trascinò al sicuro. Caddero per terra tutti e tre, ansimanti. Il Griso fu il primo ad alzarsi, ancor prima che accorressero sul posto Piero e Alberto.

“Non è successo niente, vero ragazzi?” disse, asciugandosi la fronte dal sudore.

Mario si scosse di dosso la polvere e si rimise in piedi.

“Certo, Griso. Niente di importante.”

Il garzone rimase ancora un istante riverso sul suolo, pallidissimo, poi si decise a rialzarsi anche lui.

“Sono… solo inciampato, signore.”

Piero li guardava con gli occhi fuori dalla testa per la preoccupazione, una goccia di sudore freddo sul lato della fronte.

“Beh… non farlo più. Non qui.”

“Per fortuna c’eravamo noi, capo! Vero, Mario?” disse il bravo mettendo un braccio sulle spalle di Mario.

“Verissimo Griso. Bei riflessi.”

“Grazie, grazie…” non smetteva di mormorare il mulattiere

“E tu, se mi facevi perdere così il mulo con tutto il suo carico, ti venivo a prendere a cinghiate pure nel più profondo dell’Averno!” lo rampognò bonariamente il mercante sforzandosi di sembrare di nuovo burbero. “E ora avanti! Dobbiamo arrivare a Campofiorito prima della guerra, e mi sa che non abbiamo più molto tempo. Veloci… ma attenti ai vostri piedi, però, eh. Non voglio pagare il funerale a nessuno, che sono robe che costano.”

Mario e il Griso si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere.

“Oh, ragazzo, adesso non ti posso più dare contro, te ne devo una!”

 

Continua qui:

ARRUOLATO!

Per l’inizio della saga di Mario:

MARIO L’AVVENTURIERO – Per la Corona d’Acciaio (lacoronadacciaio.it)

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